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"Non si farà mai"
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L'opera e la tecnica: Salvataggio dei Templi di Abu Simbel, Egitto

Nel 1963 i lavori furono affidati a un consorzio internazionale di imprese, di cui fece parte Impregilo, poi confluita nel Gruppo oggi Webuild.

Nella prima fase (1964-1965) i templi furono protetti dall’innalzamento delle acque del Nilo. Si costruì un cofferdam, una diga di sbarramento lunga 370 m e alta 25, furono ricoperte le pareti esterne dei templi con una colata di sabbia sottile e si rinforzarono i soffitti interni con impalcature d’acciaio.

Nella seconda fase (1965-1966), per procedere allo smantellamento, si scavò la collina alle spalle dei templi. Grazie alle competenze di tagliatori di marmo provenienti da Carrara, i templi vennero sezionati e divisi in blocchi. A ogni blocco furono applicate barre ondulate di acciaio del diametro di 25/35 mm, per il sollevamento e il trasporto in sicurezza. I lavori iniziarono dai soffitti dell’interno, per poi rimuovere la facciata, dopo averla liberata dalla protezione di sabbia.
I blocchi furono quindi catalogati minuziosamente e trasportati in un’area di deposito all’aperto di 44.000 metri quadrati.

Nell’ultima fase (1966-1968) i blocchi vennero trasportati nel nuovo sito per il riassemblaggio. Ogni superficie fu unita alle altre attraverso resine speciali, verificando il perfetto posizionamento e completando le operazioni con lavorazioni manuali. Si costruirono due cupole di cemento rinforzato per sorreggere la collina artificiale su cui i templi poggiano. I lavori si conclusero con la ricostruzione di un ambiente circostante che riproduce alla perfezione quello originario.