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Graffitismo uguale vandalismo? Forse qualcosa brilla…

È vero, la lotta ai graffiti negli anni si è intensificata nella metro di New York ed è giusto così. Dobbiamo però dire che quel mondo sotterraneo ha dato i natali a 
moltissimi artisti divenuti poi noti. Uno su tutti? Keith Haring. Nasce il 4 maggio del 1958 cresce nella fin troppo tranquilla cittadina di Kutztown, Pennsylvania.

A 18 anni Haring si diploma alla High School di Kutztown e finalmente può trasferirsi a Pittsburgh, dove frequenta la Ivy School of Professional Art: studia grafica pubblicitaria. Dopo un paio di semestri, decide di ritirarsi dalla scuola per dedicarsi all’arte a tempo pieno.

Studia molto gli artisti che in quegli anni emergono nel panorama internazionale, come il pioniere dell’Art Brut Jean Dubuffet o “l’impacchettatore” Christo. Ma quello che più di ogni altra cosa lo esalta è il concetto di linea. Di linea continua. Forse sono gli studi di grafica e sicuramente la passione per i fumetti di sempre a influire, ma Haring sembra non staccare mai la mano dal foglio o dalla tela, come a voler contenere i colori, costringerli in un contorno per farli esplodere nella loro compattezza. 

È fin da subito il grande pubblico a interessargli e approfitta di un posto come aiuto cuoco, che teneva per racimolare qualche soldo, per fare la sua prima mostra di disegni proprio nella mensa nella quale lavora. Nello stesso anno, nel luglio del 1978 tiene un’altra mostra all’Arts & Crafts Center di Pittsburgh, dove espone disegni nei quali si può già scorgere il suo tratto distintivo. Sono segni grafici che sembrano geroglifici, bianchi e neri, con l’inchiostro che emerge prepotente e sembra schizzare fuori dalla tela.

Finalmente, nel 1979 si trasferisce a New York, dove si iscrive alla School of Visual Art per seguire i corsi di disegno e pittura. 

In quel periodo Haring divide una stanza con un altro grande personaggio, che sarebbe arrivato all’olimpo della street art, Kenny Sharf. Gira tutta New York e si convince del fatto che la sua missione sarebbe stata quella di estirpare l’esclusività dell’arte, rivolta fino a quel momento a un’élite ben precisa, per donarla al grande pubblico, al più grande numero possibile di assertori. Comincia così a fare lavori nei locali più frequentati o nelle strade.

Poi, l’intuizione che gli cambierà la vita: la metropolitana diventa il suo laboratorio. Approfitta degli spazi pubblicitari vuoti per riempirli di  disegni realizzati con il gesso. È lì che compare per la prima volta, nel 1980, il "Radiant Baby", che sarebbe poi diventato il simbolo identificativo dell’arte di Keith Haring: un bambino a carponi dal quale escono raggi luminosi. Il riferimento è forse all’iconografia cristiana, dove questi raggi rappresentano la grazia divina, mentre nei disegni di Haring sono semplicemente messaggi di speranza e di potenza, di amore e ottimismo. E questo è solo l’inizio della storia di uno degli artisti più riconoscibili degli ultimi anni. Una storia cominciata in metropolitana.

App Culturale MetroNY 01
Uno dei “Radiant baby” di Keith Haring