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"Non si farà mai"
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L'opera e la tecnica: Diga di Legadadi, Etiopia

Agli inizi del 1965, quando la Municipalità di Addis Abeba iniziò a cercare nuove fonti di approvvigionamento d’acqua, grazie a uno studio di fattibilità di Salini Costruttori, poi confluita nel Gruppo Webuild, fu individuato il bacino di Legadadi come luogo in cui costruire una diga per regolare i flussi del Sendafà, affluente del fiume Legadadi  La ricerca di Salini Costruttori, differentemente da altri studi, fu in grado di stabilire la fattibilità economica, la capacità di regolazione ottimale stimata in 40 milioni di metri cubi e la possibilità di distribuire l’acqua a tutta la parte bassa della città che costituiva il 75% dell’utenza.

I lavori hanno comportato la realizzazione di uno sbarramento costituito da una diga principale di calcestruzzo e da una diga secondaria realizzata con un rilevato in rockfill a monte, una soluzione abbastanza rara studiata appositamente per poter rispondere alla notevole profondità di scavo e alle difficili condizioni geologiche che presentavano intercalazioni di ceneri, tufi e basalti argillificati. La diga principale presenta un’altezza massima di 44 m e una lunghezza al coronamento di 412 m, mentre la diga secondaria ha un’altezza massima di 25 m e una lunghezza al coronamento di 590 m.

Particolare attenzione fu data allo studio dello sfioratore, attraverso specifiche prove idrauliche su modelli in laboratorio, per definire una forma utile a dissipare un’elevata percentuale di energia dinamica del getto d’acqua, riducendo così le erosioni in alveo.

Le acque del bacino di Legadadi vengono successivamente rese potabili da un impianto che esegue le operazioni di pre-clorazione, sedimentazione, filtrazione e clorazione e incanalate verso la città attraverso un acquedotto con tubazione in acciaio di una trentina di chilometri.